Dico la mia, le riflessioni di Alessandro Silvestri, blogger, chef, giornalista sul corso giornalisti formativo accompagnato dal cooking show a San Miniato

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Dico la mia
di Alessandro Silvestri, giornalista, blogger e chef


Il corso giornalisti a San Miniato in novembre sulla Sostenibilità ambientale e agroalimentare e il cooking show, le mie riflessioni




Bella e interessante l’iniziativa di Arga Toscana Ast (associazione di giornalisti esperti del settore agroalimentare, ambientale e delle energie rinnovabili) che a San Miniato, in occasione della annuale mostra mercato del pregiatissimo tartufo bianco, ha organizzato un corso con crediti di formazione per giornalisti del settore e non, incentrato sulla “Sostenibilità ambientale e agroalimentare“.


Nella frizzante giornata di sabato 25 novembre, con la maestosa Rocca Federiciana sferzata da una gelida tramontana, “robusto” il parterre di relatori, introdotti dal sindaco Simone Giglioli e dal presidente di San Miniato Promozione Marzio Gabbanini, da Franco Polidori, Presidente Arga Toscana e coordinatore dell’evento con Accademia Georgofili Firenze, Fondazione Formazione Ordine giornalisti Toscana, Comando Generale Carabinieri Tutela Agroalimentare, Comune di San Miniato, coadiuvato dalle colleghe Silvia Volpi e Stefania Guernieri (moderatrici del corso). Dal professor Massimo Vincenzini, presidente della prestigiosa Accademia dei Georgofili di Firenze a Rossano Ercolini di Zero waste europe. Dal professor Zeffiro Ciuffoletti, accademico emerito sempre dei Georgofili, al maggiore dei carabinieri Agostino Giannino del gruppo Tutela Agroalimentare di Roma.


Molti e centrali i temi affrontati, a partire dal linguaggio e la semantica della comunicazione, su cosa si intenda per sviluppo sostenibile, un concetto che giunge a noi dagli anni ’80 attraverso i lavori del progetto ONU “Our common future” presieduto dalla ex prima ministra laburista norvegese Gro Harlem Brundtland. Quasi un quarantennio ormai, dove a fronte di alcuni miglioramenti oggettivi volti a diminuire emissioni, inquinamento e consumo dell’ecosistema, si sarebbe effettivamente potuto fare di più, visti i risultati in atto sul fronte climatico che impongono scelte globali più rapide e coraggiose. Ma a vedere le nuove guerre in corso ai confini di Europa e Mediterraneo, o al braccio di ferro tra chi vorrebbe tornare rapidamente al nucleare e chi contesta addirittura l’introduzione della mobilità elettrica, sembra che a molti questo argomento così impattante per il futuro del pianeta, non interessi affatto.

Mentre il tema dell’implemento delle energie rinnovabili, sembra già relegato a Cenerentola della filiera energetica.
Va da sé, che proprio il settore della produzione agroalimentare sia il primo a scontare i ritardi sul riequilibrio del pauperismo di risorse planetarie, e che la ricerca costante di qualità a costi accessibili che ad esempio caratterizza le nostre produzioni locali e nazionali, spesso vere e proprie eccellenze mondiali, si scontra con l’inefficienza del controllo del territorio sempre più stretto nella morsa dei suoi due più poderosi nemici: l’inquinamento e il dissesto idrogeologico.


E proprio le produzioni spontanee come il tartufo, fungono altresì da “sentinelle” ambientali, allo stesso modo di certi pesci come il barbo e il luccio, che garantivano un tempo sulla salubrità delle acque dolci. Anche per questi motivi, diviene essenziale e categorico salvaguardare il territorio dove il tartufo nasce e prospera, garantirne l’origine e promuoverne l’utilizzo gastronomico. Tutte cose che fortunatamente, tanto il Comune che l’Associazione dei tartufai e la Fondazione San Miniato Promozione, fanno bene da oltre mezzo secolo.


Ultimo ma non per importanza, il tema della tutela giudiziaria del comparto agroalimentare e dei prodotti del Made in Italy, visto che le contraffazioni non accennano a diminuire, così come le frodi in commercio di materie prime e prodotti lavorati di illecita provenienza, qualità e conservazione. Anche il settore merceologico del tartufo non è immune dall’importazione dall’estero più o meno legale, dove improbabili “patate” col prodotto locale generando da un lato guadagni indebiti e dall’altro squalificano il “nostro” amato fungo ipogeo, che per intensità di profumo e qualità organolettiche è al vertice mondiale.


La seconda parte del corso è stata caratterizzata da una prova “sul campo” dei prodotti locali, vino, pane e olio compresi, con alcuni piatti ulteriormente nobilitati dalle preziose lamelle di bianco delle colline sanminiatesi. Uno show-cooking dove in alcuni casi (la critica è assolutamente costruttiva) le parole spese hanno sopravanzato la qualità dei cibi proposti. Un trend che sta un po’ scombussolando la ristorazione in generale, dove è invalso l’uso di descrivere con eccessiva prolissità le proposte dei propri menù.


Si è partiti con l’antipasto della macelleria “Lo Scalco” dove i salumi artigianali hanno reso molto bene la qualità delle carni utilizzate quasi a km zero, e la loro lavorazione alla maniera tradizionale. Buono, saporito e di dimensioni generose il prosciutto San Genesio, soprattutto nella parte grassa, ottimo il mallegato proposto su un crostone di pane con fettine sottili di cipolla rossa e pezzettini di buccia d’arancio, discreto il salame col colore giusto della genuinità; purtroppo il crostino toscano che non ha evidentemente ancora trovato la quadra giusta tra prodotto artigianale e invasatura per la sua commercializzazione, è risultato sotto tono.


Intermezzo con una zuppa dell’orto a cura del Mercatale e dello Slow Food, un piatto che purtroppo sta sparendo anche dalle nostre tavole familiari e che merita invece una riscoperta e un rilancio.


Primo piatto a cura dell’Antico Pastificio Morelli, degli straccetti all’uovo con farine toscane e aggiunta di una buona percentuale di geme di grano che in cottura rilasciava un gradevole e tipico profumo di paglia secca che insieme a quello delle uova, ha solleticato non poco l’appetito. Non pervenuto il condimento a base di una salsa allo zafferano di scarso afrore e anonima brunoise di zucchine dispersa nella salsa. Un condimento differente (avrei suggerito una semplice mantecatura di burro e parmigiano con scaglie di tartufo, vista l’occasione) avrebbe secondo me, esaltato molto di più la qualità eccellente di questa pasta.


Perplessità sono riscontrabili nel “Intramezzo improbabile di patate, uva fragola, yogurt e tartufo di San Miniato” a cura del Ristorante Maggese descritto da qualcuno come il migliore su piazza e dove forse più o meno consapevolmente è stato azzeccato l’aggettivo “improbabile”.
Il tartufo che in mezzo a quella congerie di contrasti, dolce-salato-acido-fruttato, è sparito del tutto.
Infine il “Filetto di suino CBT con il tartufo di San Miniato” proposto da “Pepeneroaccompagnato da un puré con lieve sentore di sedano, non sappiamo se volontario o meno, il tutto così così.

Sarà ma questa ulteriore moda delle cotture a bassa temperatura, utile senz’altro per chi fa certi numeri, per il catering o per la ristorazione ad esempio sugli aerei, sta un po’ snaturando la ristorazione. Servirebbe maggiore equilibrio e anche il coraggio da non farsi omologare dal mainstream che esiste, eccome, anche in questo settore così importante per la valorizzazione del territorio e per la sua economia circolare.
Capitolo finale: “Il Cantuccio di Federigo” con i loro biscotti alle mandorle e uvetta (o cantucci come alcuni impropriamente li chiamano) sono rinomati in zona, ho potuto constatarne friabilità e gusto oggettivamente differenti dalla norma. E anche il dosaggio dell’anice è risultato veramente armonico con tutti gli altri ingredienti.


Un menzione anche all’Associazione dei vignaioli sanminiatesi, che hanno servito due rossi e un rosato tra i quali è rimasto impresso l’utilizzo di un vitigno inconsueto, circondati come ormai siamo dagli uvaggi bordolesi, quanto ben riuscito in bottiglia, il tempranillo pre filossera che l’azienda Pietro Beconcini si è ritrovata nei propri vigneti ultracentenari, senza per lunghi anni sapere esattamente di cosa si trattasse. Tanto da far scrivere una X sulle botti per distinguerlo dal classico Sangiovese e gli altri.
Un ringraziamento infine alla Scuola Alberghiera “Federigo Enriques” di Castelfiorentino che ha organizzato il servizio con i propri giovanissimi allievi verso i quali va tutta la stima e l’incoraggiamento da parte mia e di tutti i convenuti.

(A.S.)

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