Drusilla Foer il rapporto culturale con il cibo e la cucina, la cena perfetta è in sei

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Quello che seguono sono alcuni estratti di una intervista rilasciata sul Corriere della Sera che Drusilla Foer, artista toscana del momento e già adesso definita regina di Sanremo, ha rilasciato al Corriere della Sera. Drusilla il cui nome artistico deriva da un battello, un vascello di antica memoria, è frutto della fantasia di Gianluca Gori, fotografo che ha creato il personaggio di raffinata nobildonna con diversi video, decretandone un successo per alcuni inaspettato ma non del tutto, perchè frutto di preparazione professionale artistica.

Alla base c’è una conoscenza del mondo culturale assai profonda che riversa nei propri spettacoli teatrali da sold out. La cultura si esprime anche con il cibo e la cucina. Drusilla ha vissuto in prima persona quel mondo e conosce chef ma anche la semplice cucina.

«La cucina? Come il teatro: richiede studio, disciplina, passione. E rispetto delle parti. Cosa che agli uomini, spesso, non viene bene. Loro ai fornelli sono impudenti. Confondono il rigore, necessario, con il machismo: noi donne non abbiamo bisogno di prevaricare. Siamo solidali nelle criticità, che si smorzano se affrontate insieme. Ci è chiaro, facciamo squadra. In cucina ho assistito alle cattiverie più esecrabili. E vissuto alleanze indissolubili che durano ancora oggi».
Lei è cantante, sceneggiatrice, attrice e scrittrice — per dimensione artistica un po’ come Dorothy Michaels nel film Tootsie —, la cucina l’ha sperimentata.


Foer è ora in tour con Eleganzissima summer edition e Una sera con… Drusilla Chiacchiere, domande, canzoni. Ha scritto anche un suo libro: “Tu non conosci la vergogna”, la mia vita eleganzissima.

“Mio padre faceva il diplomatico. Ho trascorso buona parte della mia esistenza in giro per il mondo. I ricordi più belli a Cuba, L’Avana, Plaza de Armas». Là dove risiedevano le autorità civili e militari – racconta.

Drusilla ricorda la giovinezza con i figli dei domestici.
“Ricordo ancora oggi le merende a base di ghiaccio tritato. Lo mettevamo dentro a uno strofinaccio. Poi, con un martello, lo riducevamo in pezzetti e ne facevamo una specie di granita che “condivamo” con limone, sale e pepe. E mangiavamo tutti insieme dallo stesso piatto».
Ho sempre disdegnato il mio corpo: secco da far spavento. Una cuoca mi preparava la sua “crème blanche” con latte di capra, lardo e farina in quantità. “Così metterai peso”, diceva. Solo poi ho capito che era un’astuzia. Quella roba, ribattezzata “planche blanché” (tavola bianca), faceva ribrezzo. Prima o dopo avrei imparato ad apprezzarmi per ciò che ero: non secca, ma meravigliosamente snella come diceva mia nonna.
Con il tempo sono diventata “equiparatista”, voglio pensar bene. Ma qualche dubbio mi resta…». Io ho sempre avuto un certo talento per la cucina.

Trovo che preparare da mangiare — anche solo un uovo al pomodoro, che adoro, o del roast beef all’inglese Anni Venti come solo mia nonna napoletana sapeva fare — sia una grande dimostrazione d’amore.

E nei suoi rapporti di cuore sottolinea:
“Preparava brodo, brodo e ancora brodo. La sola cosa che sapesse cucinare. Me ne offriva a litri, io ricambiavo con i miei piatti del cuore. Ci passavamo portate e bottiglie sotto le foglie di un glicine con la stessa ritrosia di due badesse manzoniane. Temevamo di piacerci. E forse era così. Non ne avrò mai certezza».
Alimento la mia curiosità, meglio se con un gin tonic alla mano: ne bevo con la stessa facilità con cui respiro l’aria. Purché sia eccellente. Gli aperitivi? Quelli invece non fanno per me. Passo direttamente alla cena, perfetta se in sei. E odio gli stereotipi: li combatto tutte le volte che posso».

Fonte: tratto da elaborato di Chiara Amati per Corriere.it

a cura Redazione ArgaToscana

nella foto: Il libro e Drusilla Foer in copertina

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