I prodotti agricoli rincarano secondo il Financial Times sulla base dei dati Fao

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Parliamo di globalità e meno di tematica regionale per una volta e proponiamo un interessante articolo sperando di aver fatto cosa gradita.


Fonte: Financial Times
Chi pagherà il conto del più forte rincaro dei prodotti agricoli da un decennio

(Luca Angelini) Una quindicina di anni fa, per descriverla, era stato anche creato un neologismo: agflation. E l’inflazione agricola, ossia il rincaro dei beni alimentari di base, è tornata, come segnala in apertura di prima pagina il Financial Times. E se la fetta fortunata del mondo può archiviare l’agflation alla voce «scocciature macroeconomiche», quella sfortunata deve tradurla con rischio di ripiombare nell’incubo della fame. Anche perché, secondo i dati dell’indice Fao in materia, l’aumento di prezzo dei prodotti agricoli è stato, a maggio, del 40% rispetto a un anno prima, il rincaro più alto, anno su anno, dal 2011.

A provocare la fiammata inflazionistica sarebbero stati, spiega il Financial Times, la crescente fame cinese di cereali e soia, una grave siccità in Brasile e una crescente quantità di prodotti vegetali dirottati dai piatti ai serbatoi, ossia destinati alla produzione di biocarburanti. «Dobbiamo tutti pregare che il tempo negli Stati uniti dia buono» commenta l’economista della Fao Abdolreza Abbassian.

L’allarme è alto non soltanto in Paesi africani come la Nigeria, alle prese con la più alta inflazione alimentare degli ultimi 15 anni, o il Sudan, ma anche in Siria e in Libano, dove il caos politico si è tradotto in un crollo del valore della moneta locale, sul quale si è poi innestato il doppio disastro della pandemia e dell’esplosione nel porto di Beirut, lo scorso agosto.

Nei Paesi ricchi, sottolinea il Financial Times, il rincaro sarà avvertito dalle fasce più povere, mentre colossi come Nestlé e Coca-Cola e altri marchi di fascia alta hanno già fatto sapere che non avranno grossi problemi a far pagare di più i loro clienti. A Bruno Monteyne, analista di Bernstein, non manca la franchezza per spiegare la crescente polarizzazione del mercato fra prodotti premium destinati a consumatori abbienti e marchi di fascia bassa per chi fatica ad arrivare a fine mese: «Se state già comprando prodotti biologici o manghi del commercio equo-solidale, non dovete probabilmente preoccuparvi troppo». Se non siete così fortunati, i guai sono invece, probabilmente, soltanto all’inizio: secondo Caroline Bain di Capital Economics, «con la crescita nei costi del trasporto di base, per l’aumento dei prodotti petroliferi e i colli di bottiglia nella logistica, nel sistema c’è molta pressione sui prezzi verso l’alto».

Le spinte verso un mondo più disuguale e, quindi, più instabile e pericoloso per tutti sono, purtroppo, destinate a continuare.

Fonte Financial Times – Corriere della Sera

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