Quale biodiversità a fronte delle innovazioni, articolo di Stefania De Pascale per l’Accademia dei Georgofili

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La biodiversità per l’innovazione e la resilienza nei sistemi agroalimentari

di Stefania De Pascale

Fonte e foto:

Accademia Georgofili di Firenze

Il termine biodiversità, usato in molteplici circostanze e talvolta abusato, è molto più di una semplice parola alla moda. Questo concetto, cruciale in ecologia, si riferisce alla vasta varietà delle forme di vita ed è stato introdotto dall’entomologo Edward O. Wilson nel 1986. La biodiversità abbraccia la variabilità genetica entro le specie, la diversità tra specie diverse e la varietà degli ecosistemi. Questa diversità biologica è vitale per la resilienza e la sopravvivenza delle specie e degli ecosistemi, permettendo loro di adattarsi ai cambiamenti e alle perturbazioni ambientali. Tuttavia, l’interpretazione comune di biodiversità spesso ignora la sua estensione, limitandosi all’agrobiodiversità, ovvero alla varietà di piante coltivate e animali domestici, che rappresenta solo una piccola frazione della biodiversità complessiva seppure di vitale importanza. L’agrobiodiversità si riferisce al patrimonio di risorse genetiche vegetali, animali e microbiche, prodotto dal lavoro di generazioni di agricoltori e allevatori che, dall’alba dell’agricoltura, hanno selezionato, domesticato e trasferito specie da diverse zone geografiche per ottenere prodotti utili all’uomo.
La cosiddetta Rivoluzione Verde (1940-1970) ha segnato un’epoca di industrializzazione agricola con incrementi produttivi notevoli, ma a spese di un elevato consumo energetico e di una riduzione della diversità agroalimentare. La biodiversità delle colture è stata particolarmente compromessa: secondo la FAO nel corso del XX secolo abbiamo perso il 75% delle varietà di colture disponibili. Oggi, il sistema agroalimentare mondiale si affida a un numero molto limitato di specie: meno di 200 delle 6000 coltivate per la produzione di cibo contribuiscono significativamente all’approvvigionamento alimentare globale, con solo 9 specie che dominano la produzione (rappresentando il 66% della produzione totale).
La storia ha mostrato gli effetti catastrofici di epidemie su colture geneticamente uniformi, come la carestia della patata in Irlanda nel 1845 o l’epidemia di Bipolaris maydis negli Stati Uniti nel 1970. Esempi recenti in Italia includono il punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus), che dal 2005 si è diffuso in Italia soprattutto lungo la linea costiera trovando la sua via tra i filari di palme, o la Xylella fastidiosa che ha infettato ventuno milioni di ulivi pugliesi, coprendo ottomila chilometri quadrati, circa il 40% del territorio regionale. Secondo la FAO, inoltre, molti effetti negativi del cambiamento climatico sulle piante hanno parassiti come intermediari; la presenta di insetti benefici, diminuita dell’80% negli ultimi tre decenni, sta aumentando il rischio di invasioni di insetti dannosi. Un esempio chiaro di quest’ultimo fenomeno sta avvenendo in modo drammatico nell’Africa orientale dove negli ultimi decenni avvengono infestazioni di locuste senza precedenti.
Su scala globale nel breve e lungo periodo, l’agricoltura dovrà aumentare del 60-70% la produzione alimentare per sfamare una popolazione in crescita, prevista a 9,7 miliardi entro il 2050; dovrà farlo nel rispetto delle risorse naturali e della salute dei consumatori, in un contesto in cui la gran parte dei terreni utilizzabili è già coltivato e affrontando i sempre più pressanti temi del degrado ambientale e del cambiamento climatico. In estrema sintesi, l’agricoltura deve aumentare la produzione in modo sostenibile, evitando l’ulteriore conversione di foreste e boschi in terreni coltivati ma concentrandosi sui terreni coltivati attraverso l’intensificazione moderata, l’adattamento e il trasferimento di tecnologie, nei paesi a bassa resa e il miglioramento tecnologico globale nei paesi ad agricoltura avanzata inserendo «più conoscenza per ettaro», traendo vantaggio dai progressi della ricerca.
In questo scenario, l‘agrobiodiversità rappresenta un fattore chiave per la sostenibilità e la resilienza dei sistemi agricoli, con contributi quali la diversità genetica per l’adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e la resistenza a malattie e parassiti, la diversità delle colture (specie e varietà) per la stabilità delle produzioni e il mantenimento della fertilità dei suoli e la diversità degli agroecosistemi per garantire i servizi ecosistemici e la sicurezza alimentare.
L’agrobiodiversità, infatti, rappresenta una riserva genetica per lo sviluppo di varietà adattate alle sfide future. Le biotecnologie avanzate, note come Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) quali la cisgenesi e il genome editing, offrono metodi per migliorare geneticamente le colture in modo mirato e rapido. Diete variegate, basate su diverse colture, non solo sono più nutrienti, ma sostengono anche la sicurezza alimentare delle comunità locali e la conservazione di sapori e saperi tipici e tradizionali. Le comunità rurali hanno spesso una profonda conoscenza della gestione di razze e varietà locali che è legata allo sviluppo sostenibile dei territori.
L’agricoltura sostenibile e biodiversa non solo è vantaggiosa per l’ambiente, ma anche dal punto di vista economico, offrendo opportunità di differenziare il prodotto e di mitigare il rischio associato al mercato dei prodotti di massa.
In definitiva, la sfida è di intensificare l’agricoltura concentrandosi sulla sostenibilità ambientale ed economica, incorporando più conoscenza e tecnologia per ettaro, secondo le indicazioni dell’Unione Europea. La formazione, la didattica, la ricerca e il trasferimento tecnologico giocano un ruolo fondamentale nel realizzare questa forma di intensificazione, puntando a un’avanzata comprensione e applicazione di scienza e tecnologia. Proteggere e valorizzare l’agrobiodiversità è un elemento strategico. Essa consente agli agricoltori di adattarsi ai cambiamenti climatici e di modellare i loro sistemi agricoli in modi sostenibili e resilienti.
Il ruolo della politica è determinante nel promuovere pratiche che preservino la biodiversità, attraverso incentivi e interventi strategici. L’adozione di approcci partecipativi può sfruttare la diversità locale per sviluppare sistemi agricoli più robusti. Le accademie, infine, hanno il compito di creare sinergie tra istituzioni, imprese, tecnici e consumatori, nonché di comunicare efficacemente la scienza, ricordando che l’innovazione spesso affonda le radici nella tradizione.

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