Quando il tartufo è tubero o pepita le differenze e le curiosità

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Quando il tartufo è tubero o pepita? Le differenze e le curiosità

Un aspetto che questa stagione sicuramente avrà colpito gli estimatori gastronomici del tartufo sarà stato, oltre che la prelibatezza culinaria, anche il prezzo decisamente non basso. E’ l’analisi di Riccardo Buti, agronomo e esperto del mondo tartufigeno.

Come tutti i beni di consumo il tartufo risente delle leggi del mercato: quando di un bene c’è disponibilità il prezzo scende, quando ce n’è di meno il prezzo sale.

“Questa stagione in effetti è caratterizzata da una ridotta quantità di prodotto e di conseguenza il prezzo è salito, tanto che alcuni articoli parlano di “pepite d’oro” esordisce Buti.

“Ma tutto questo preambolo ha il solo scopo, partendo dalle conseguenze che tutti possono riscontrare sedendosi a tavola, di porre sul piatto, invece che dei tagliolini, la domanda: come mai c’è poco tartufo? E da qui affrontare quella che è la questione vera e propria: i cambiamenti climatici” continua

“Nella mia breve, ma intensa, esperienza di tartufaio, leggendo studi e approfondimenti scientifici in materia, facendo esperienza ma soprattutto raccogliendo notizie dai raccoglitori più anziani, ho appreso che il tartufo, a differenza dei funghi epigei, ha un periodo di crescita abbastanza lungo, di circa almeno due mesi, a volte anche di più.

Il detto ripetuto fra i tartufai è che per avere una buona annata “deve piovere sul fieno”
sottolinea Riccardo Buti.

Tradizionalmente in Toscana gli sfalci dell’erba medica (la pianta regina per la produzione di fieno da foraggio) sono tre: il primo, non di grande qualità per la presenza di altre essenze erbacee, è a seconda dell’andamento stagionale fra la fine di marzo e aprile; il secondo è effettuato fra maggio, da cui il nome “maggengo”, e la prima decade di giugno giugno; il terzo invece, l’agostano o terzuolo, è fatto appunto in agosto.

“Escludendo il primo taglio, facendo un po’ di calcoli, si vede che i conti tornano” evidenzia ancora Buti.

“Le precipitazioni avvenute fra giugno e agosto sono quelle che permettono la formazione dei carpofori, che poi crescono e vanno a maturazione nel periodo da metà settembre a dicembre, quando le precipitazioni regolari della stagione autunnale consentono al tartufo di completare il proprio ciclo.

Con i cambiamenti climatici in corso assistiamo invece a estati sempre più siccitose, mentre il periodo autunnale raramente presenta un andamento pluviometrico regolare, ma si alternano periodi asciutti a brevi periodi con rovesci di alta intensità che non permettono una infiltrazione regolare dell’acqua nel terreno, ma piuttosto si raccoglie e si allontana rapidamente, non bagnando il terreno in profondità”
aggiunge l’agronomo.

“Se a tutto questo si aggiunge il fatto che il tartufo predilige habitat tendenzialmente freddi, con l’innalzamento delle temperature si comprende che l’areale dove fino a qualche decennio fa prosperava il nostro tartufo, sta diventando sempre meno ospitale.

A mio avviso pertanto i cambiamenti climatici hanno pertanto un impatto non indifferente e quali saranno le ripercussioni in futuro non è facile prevedere, ovverosia se diminuiranno sempre più le tartufaie o se queste si sposteranno verso il nord”
aggiunge ancora.

“Sia chiaro, sono consapevole che fra tutti i problemi, anche a livello mondiale, che comportano i cambiamenti climatici questo non rientra fra le priorità assolute, ma siamo a trattare di tartufo e quindi si fanno le valutazioni su questo argomento” chiude Riccardo Buti.

Una nota botanica: è noto che quello che chiamiamo tartufo non è un tubero, ma il carpoforo del fungo, ossia l’organo deputato alla riproduzione contenendo le spore, ma nell’immaginario collettivo è comunemente denominato tubero e foneticamente il titolo suonava meglio di “Tartufo: carpoforo o pepita?”

Nota aggiuntiva finale di Riccardo Buti:questo articolo non ha alcun carattere o base scientifica, ma, ripeto, è solo frutto di pragmatica esperienza diretta del sottoscritto e soprattutto indiretta delle testimonianze dei vecchi tartufai con cui ho avuto il privilegio di ascoltare”.


a cura redazione ArgaToscana

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