Ricerca del CREA sull’agro alimentare, la crisi, il Covid19
Il settore agroalimentare italiano non è stato penalizzato in modo davvero rilevante dalla crisi CoVid-19. Tuttavia le ripercussioni sono più marcate per la zootecnia, che ad esempio ha pagato in misura maggiore il calo della redditività. Se la domanda resterà pressoché stabile rispetto alle valutazioni pre-crisi, sia l’export che l’import subiranno invece un calo significativo. Sono alcuni dei risultati contenuti nella Valutazione dell’impatto sul settore agroalimentare delle misure di contenimento CoVid-19 realizzata da Crea.
Il livello della produzione scenderà, ma non in maniera preoccupante. Pertanto, anche grazie al quantitativo di scorte mondiali, non ci saranno problemi per la sicurezza alimentare, sottolineano gli esperti.
Maglia nera all’Italia dall’Fmi
La portata della crisi, prima sanitaria poi economica, è di natura mondiale: consumi, investimenti, produzione e scambi con l’estero sono stati inevitabilmente compromessi. Tutte le principali istituzioni, nazionali e internazionali, hanno fornito numeri negativi. La Commissione europea, ad esempio, ha indicato una riduzione della crescita del Pil reale dell’Ue nel 2020 di 2,5 punti che porterà dunque il Pil a un livello di -1,1%. Il Fondo monetario internazionale ha individuato proprio nell’Italia il Paese più colpito dalla crisi, con una contrazione del Pil per l’anno in corso del 9%.
In questo scenario il settore agroalimentare italiano è stato toccato soprattutto in misura indiretta, basti pensare al blocco della ristorazione, del settore alberghiero e del turismo. Secondo Ismea il segmento più penalizzato è stato quello dell’industria alimentare, tra difficoltà logistiche, misure di prevenzione che hanno fatto rallentare l’attività produttiva e carenza di personale. Meno esposto il settore agricolo, in particolare le imprese dei cereali e dell’olio d’oliva, più svantaggiati la zootecnia da carne e la vinicoltura. L’impatto del lockdown sul settore agroalimentare è stato valutato da Crea in base a due modelli partendo dall’ipotesi di una riduzione del Pil da 1,5 a 5 punti percentuali, un calo comunque sottostimato.
Import in calo
Il primo modello (Agmemod, che considera i maggiori prodotti dei Paesi – per l’Italia carni, lattiero-caseari, cereali e mele) non indica particolari variazioni della produzione, in crescita prima della crisi, e ora con oscillazioni all’interno dell’1%. In particolare è emerso un calo della produzione di carni, associato a una contrazione dei prezzi per quelle avicole. Anche per grano duro e derivati, a differenza degli altri cereali, il prezzo è stabile mentre per i formaggi la crescita prevista è attenuata.
In calo l’import, soprattutto carne di pollo e maiale. In linea con quanto previsto, invece, gli acquisti dall’estero di cereali e formaggio. Per l’export, invece, l’andamento delle spedizioni delle carni di pollo, rivisto verso il basso all’inizio del periodo analizzato, ritornerà in linea con le stime pre-crisi dal 2024.
Per Crea proprio il settore degli scambi commerciali è l’anello più delicato. Viste le difficoltà a importare, per il Made in Italy, oltre alla minore domanda, ulteriori danni potrebbero arrivare dal falso Made in Italy e dalla pratica dell’italian sounding.
Reddito agricolo scende di meno della media Ue
Il secondo modello (Capri, che valuta l’andamento della redditività) ha rilevato una riduzione consistente del reddito. A differenza di altri Paesi europei, il settore agricolo italiano sembra reggere meglio la crisi, soprattutto grazie alla prestazione del settore ortofrutticolo, con un calo di redditività dell’1,8%. Più marcato, invece quello della zootecnica, pari al 3%. In particolare per la carne bovina, la flessione del reddito per capo è pari all’1,9% nello scenario con il calo del Pil intermedio e del 3,9% in quello peggiore. Nel settore zootecnico da latte, invece, il calo è rispettivamente di 3,2% e 6,4%, in ogni caso una delle contrazioni più contenute nell’Unione europa dove la media è di circa il 9%. Per gli ‘altri animali’, la riduzione è invece in linea con gli altri Paesi: rispettivamente 24% e 47%.
Le sfide per l’agroalimentare
Nel report Crea ha anche individuato le sfide principali per il settore agroalimentare, con le possibili soluzioni da intraprendere:
– Evitare che la carenza di manodopera comporti una crisi dell’offerta. È importante agevolare l’ingresso di forza lavoro nelle imprese, sia di immigrati che di lavoratori disponibili da altri settori;
– Garantire il trasporto e la logistica dei prodotti deperibili, più a rischio;
– Tutti i segmenti della filiera, compresa la mangimistica, devono essere considerati ‘essenziali’ per non intaccare la catena produttiva;
– Garantire l’integrità della filiera rafforzando la tracciabilità e i controlli anche alle frontiere;
– Scongiurare il rischio di barriere sanitarie e fitosanitarie ingiustificate. La collaborazione con i privati per individuare eventuali criticità è utile allo scopo:
– Le imprese devono poter contare sulla liquidità: no a restrizioni del credito, sì a sussidi salariali, sospensione dei pagamenti delle imposte sulle società, applicazione di regolamento de minimis rivisto per aiutare le aziende;
– Evitare speculazioni e ingiustificati aumenti dei prezzi che potrebbero penalizzare i consumatori;
– Assicurare l’accesso al cibo alle fasce più deboli della popolazione.
Fonte: Crea
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